A porte chiuse: la vita ai tempi del Coronavirus

Il Coronavirus chiude aziende e case, separa persone e cambia le esperienze: serve pazienza, consapevolezza e capacità di sfruttare questa occasione.

A porte chiuse, dentro le nostre case, dentro noi stessi.

Perché questo è quel che sta vivendo il nord Italia, sperando il Coronavirus non travalichi le zone rosse e limiti così il proprio impatto generale sul Paese: una nuova settimana a porte chiuse, poi si vedrà. Tra consapevolezza e fobie, nelle mille sfumature possibili tra i colori della competenza e quelli del panico. Affogati di polemiche e strumentalizzazioni, inondati dagli esperti dell’Università della Vita che con grande generosità elargiscono consigli e teoremi. Non avremo mai sufficiente pazienza per sdebitarci con loro di tutto ciò…

A porte chiuse

Un Mobile World Congress a porte chiuse. Ogni azienda dai suoi uffici, ogni utente dai suoi streaming. Prodotti da vedere e non toccare, ma non per questo l’esperienza sarà differente: è solo differita, quindi niente drammi, i top di gamma arrivano a casa con un click. Annunci in diretta, senza pubblico e senza urletti di approvazione, senza le tartine per la stampa alla fine e senza code agli hands-on. Senza MWC non si tocca, ma si vede comunque; senza MWC non si prova, ma si intuisce comunque. La gallery ritrova significato, le recensioni arriveranno: tutto cambia e nulla cambia, con un po’ di pazienza sconfiggeremo il panico e anche gli effetti collaterali che l’economia sta iniziando a pesare.

Un campionato a porte chiuse. Ogni squadra nel suo stadio, ogni pubblico sulla sua tv. Partite da vedere ma non da vivere, ma non per questo il tifo sarà meno intenso: è solo lontano, quindi niente drammi, torneremo presto anche allo stadio. Prepariamoci a partite in un suono asettico, con il fischio dell’arbitro che riecheggerà tra gli spalti, rimbalzando nei microfoni e arrivando tra gli affollati divani di casa. Ma del resto avevamo scelto da anni l’esperienza del tifo in tv, quindi solo agli abbonati mancherà l’esperienza rumorosa del calore in curva.

Una vita a porte chiuse. Ogni azienda nei suoi uffici, ogni dipendente nel suo smart working, ogni persona dalla propria casa. Con l’impareggiabile possibilità di fermarsi senza fretta, informarsi senza ansia, imparare senza obbligo, studiare senza costrizione. Possiamo perderlo questo tempo, oppure possiamo sfruttarlo. Riflettendo, anche solo per un attimo, a quando le porte non si potevano chiudere ed era un campanellino ad avvertire chi usciva dalla quarantena per cercare risorse per sopravvivere. Non servono campanellini oggi, ma solo il buon senso di un isolamento forzato quando il bene collettivo si impone su quello personale. Non servono campanellini perché in mano abbiamo uno strumento che, se non possiamo uscire nel mondo, porta il mondo dentro di noi. In quel display c’è tutto ciò di cui possiamo aver bisogno ed è la miglior mascherina possibile per isolare noi dal virus e il virus da noi.

Possiamo perderla questa occasione a porte chiuse, oppure possiamo sfruttarla. Possiamo uscirne migliorati, oppure possiamo ostinarci in questo medioevo di condivisioni impulsive e di “inoltra” compulsivi. Possiamo opporre la logica al panico e la riflessione alle polemiche, calmierando così gli effetti collaterali di questa quarantena collettiva per costruire le basi sulla ripartenza successiva. Possiamo riflettere sul nostro ruolo privato in una complessa struttura sociale, possiamo specchiarci nelle reazioni impulsive degli altri, possiamo cercare il silenzio come nuovo valore in tempi di eccessivo rumore di fondo. Possiamo provarci, almeno.

Possiamo, potremmo. Dipende da noi. Si tratta di una decisione personale, ognun per sé. Che prenderemo da soli. A porte chiuse, dentro le nostre case, dentro noi stessi.

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