La recente introduzione di una tassa pacchi di 2 euro per ogni spedizione proveniente da paesi extra UE con valore inferiore ai 150 euro sta sollevando un acceso dibattito tra il governo italiano e le istituzioni europee. Questa misura, inserita nelle ultime modifiche della Manovra approvate dalla commissione Bilancio del Senato, si propone di tutelare le imprese italiane dalla concorrenza sempre più aggressiva dei giganti dell’e-commerce internazionale. Tuttavia, la questione è ben più complessa e si intreccia con i principi fondamentali delle norme europee, mettendo in discussione la legittimità stessa del provvedimento.
Da un lato, il governo difende la tassa pacchi come uno strumento indispensabile per ristabilire condizioni di equità fiscale e contrastare le diffuse pratiche di evasione doganale che caratterizzano il commercio elettronico globale. In un contesto in cui la competitività si gioca sempre più sul terreno digitale, la necessità di proteggere il tessuto produttivo nazionale diventa una priorità strategica. Le imprese italiane, spesso penalizzate da costi e regole più stringenti rispetto ai concorrenti esteri, vedono in questa misura una possibile via per recuperare terreno e garantire una concorrenza più leale.
Tuttavia, l’applicazione della tassa pacchi esclusivamente ai prodotti importati da paesi extra UE rischia di generare una palese disparità di trattamento. Mentre le spedizioni provenienti dall’interno dell’Unione Europea e dal territorio nazionale restano esenti, quelle che arrivano da mercati esterni si vedono gravate da un costo aggiuntivo che potrebbe essere percepito come discriminatorio. Questo aspetto ha immediatamente attirato l’attenzione del Codacons, che ha sollevato dubbi circa la compatibilità della misura con l’articolo 3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Secondo il Codacons, la competenza esclusiva in materia di unione doganale spetta infatti all’UE e non ai singoli Stati membri, e un intervento unilaterale come quello proposto dall’Italia potrebbe configurare una violazione delle norme europee.
Il rischio, dunque, è che la tassa pacchi venga impugnata davanti alle autorità comunitarie, con la possibilità di sanzioni e richieste di revisione della normativa. In questo scenario, i consumatori si trovano al centro di una partita che vede contrapposti, da una parte, gli interessi delle imprese nazionali e, dall’altra, il rispetto delle regole comuni del mercato unico. Per molti utenti, soprattutto quelli abituati a ricorrere alle piattaforme internazionali per acquisti di piccolo importo, la nuova tassa rischia di tradursi in un aumento dei costi e in una limitazione delle possibilità di risparmio. Il Codacons sottolinea come proprio i consumatori che cercano online offerte vantaggiose su prodotti di modesto valore finiranno per pagare il prezzo più alto, venendo disincentivati dall’utilizzo di servizi di e-commerce estero.
L’impatto della tassa pacchi si riflette così su più livelli: da una parte, la volontà di sostenere il comparto produttivo nazionale e combattere pratiche commerciali scorrette; dall’altra, la necessità di rispettare le norme europee che regolano la libera circolazione delle merci e garantiscono condizioni di concorrenza trasparente. In mezzo, i consumatori rischiano di trovarsi intrappolati in una normativa che, seppur animata da buone intenzioni, potrebbe rivelarsi dannosa per i loro interessi e per il principio stesso di equità che dovrebbe ispirare il mercato unico.
La discussione resta aperta e promette di animare il confronto tra Roma e Bruxelles nei prossimi mesi. La tassa pacchi rappresenta un banco di prova per la capacità dell’Italia di conciliare la difesa delle proprie imprese con il rispetto degli impegni assunti a livello comunitario. Nel frattempo, l’attenzione resta alta sulle conseguenze che la misura avrà per milioni di consumatori e sull’eventuale intervento delle istituzioni europee, chiamate a pronunciarsi su una questione che tocca da vicino i diritti e le abitudini di acquisto dei cittadini.